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Carmine Antonio Carvelli

Critica in semiotica estetica dell’Opera “Oltre il corpo, l’anima” di Carmine Antonio Carvelli

 

Il corpo del Carvelli si eterna nel suo oltre, nell’anima: la parola è maschera e anche la parola corporea dell’arte è rimando infinito di desiderio dell’oltre, l’oltre animato del senso infinito, perché volto irraggiungibile. Mai si toglie la maschera dell’espressione per l’anima in sé dell’oggetto significato,

ma la sua stessa distanza è il modo più umano, più nostro, di esserne noi, in eterno ancora, innamorato

e nostalgico desiderio mancante.

Critica in semiotica estetica dell’Opera “Onironauta” di Carmine Antonio Carvelli

 

Il tratto in movimento del Carvelli apre all’eco e alla ripetizione dell’origine, che è fresca variazione e mai medesimezza. È utopico il sogno di conoscenza dello sguardo diretto del piacere, la coscienza dell’uomo

è già desiderio, come allontanamento dal piacere e sua instancabile ricerca: il desiderio rifrange il corpo allo sguardo, nelle sue prospettive. L’arte nasce dall’intreccio inscindibile del movimento del guardare

ed essere guardati: originaria merleau-pontyana coappartenenza di sé ed altro, che il vedente rende visibile e così anelante.

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Critica in semiotica estetica dell’Opera “Vizi” di Carmine Antonio Carvelli

 

L’omaggio al vizio del Carvelli è rottura della regola convenzionale della coscienza per l’apertura al vitium della vite, come ciò che secondo radice etimologica devia dalla retta consuetudine a vedere, per l’abbandono all’inconscio. È la reintegrazione alla potenza ironica che infrange i ruoli e le ipertrofie identitarie, per la dimensione plurale, ctonia e istintuale, oltre il principio individuationis nell’alterità possibile. Il rito che inizia al sapere è la vita diretta e irriflessa dell’estasi dell’indistinzione, matrice vitale di rinascita dell’essere, per trasformazione dell’eros in filosofia.

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