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Edith Dzieduszycka

Le lancette

Correte
senza tregua correte   pervicaci lancette
affrettatevi oggi   come ieri   domani
voi scarne ballerine d’un orbo pas-de-deux
alternativamente Demoiselles
de Cherbourg
e Pozzo e pendolo
serve inconsapevoli d’un padrone malvagio
che vi frusta e costringe
ad una folle corsa nel medesimo solco
Sulla pianura brulla
priva di orizzonte e rifugi e détours
ove vi è concesso girare   stordite ossesse
niente deve turbare quella sorte spietata
che vi vede regine e trepide vallette
Forse non lo sapete
ma una volta avviato
non cede l’ingranaggio
così il vostro destino è dentro lo sfuggire
quell’ansia irrequieta di venire raggiunte
da più svelte di voi   o più determinate
e nemmeno vi ferma
d’una campana il tocco nella sera dolente
d’un autunno di rame
d’un inverno d’argento
anzi vi accompagna
anche se siete voi a condurre la danza
come illuse credete
Fu tempo in cui sorelle d’un’esausta Coppélia
una chiave crudele nella schiena infilzata
frugava la vostra carne e vi rianimava
scialbe umili schiave
a tornare costrette al vostro assurdo viaggio
sui binari obbligati del treno senza bivio
Ora non serve più
siete condizionate dall’ambiguo progresso
tutta vostra è la strada.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Le lancette” di Edith Dzieduszycka

 

Tragicamente teatrale, la parola della Dzieduszycka inscena la dimensione lineare del tempo moderno, che corre incontro ad una fine unica, inesorabile e irreversibile. Questa si oppone all’antica concezione ciclica, perpetuante il moto degli astri e il ciclo biologico della vita naturale e umana, per il connubio degli opposti di necessità e di libertà, nel senso. La modernità costringe ad un moto lineare e progressivo, freccia agostiniana, verso la realizzazione del progresso spirituale, poi tradotto nella metafisica di un processo evoluzionistico, a determinare il positivismo tecnico e scientifico, a seppellire l’inconscio, per la divinizzazione parricida e avanzante della coscienza.

L’orlo

Ma quanto prude
ottuso
nella cranica scatola
segregato il pensiero
il pensiero inespresso
il pensiero impotente
a scavare frugare
una matassa ostile
e di bandolo priva.
Ma quanto gira
e ronza
ed ali sbatte
grevi
mosca impazzita
contro il guscio duro
d’una prigione stretta
da cui lei ha timore di non uscire viva.
Si può con le parole
o soltanto si spera
dal ventre estorcere
quello che al pensiero
è sfuggito
ritroso?
Si riesce a scavare
e alla luce esporre
giocattoli quisquiglie
e pistole fumanti
l’ovvio
il banale
l’inverosimile?
Grande è la sorpresa
enorme lo sconcerto
per quello che trabocca
sull’orlo di quell’antro.

Critica in semiotica estetica della Poesia “L’orlo” di Edith Dzieduszycka

 

Con profonda e vivida forza teatrale, la parola della Dzieduszycka rappresenta la nascita dell’espressione. Il dire, prigioniero, imbrogliato, umiliato, sminuito, denaturato, irriso e temuto morto, è tanto sorpresa di nascita quanto sconcerto di perdita sull’orlo della bocca e, nella sua qualità intima, esondantemente necessario.

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