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Emilio Ciombo Arlia

DALLA RUDE PIETRA

Batte e batte, ribatte forte… scalpella lo scultore:
dalla pietra grezza, una musa in fiore.
Informe è nella mente... l'immagine confusa,
nel lapideo marmo inerte, vieppiù rinchiusa.

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Sgranellano frammenti, in copiose polveri dorate:
intridono sudore, dell'alacre cesello... anche il respiro.
Scalpella l'artista, forbisce bellezza innata:
dalla rude pietra, celestiali membra, ora fremono di vita.

​

Fin ai bagliori del giorno, rintocchi di scalpello,
il mondo dorme ancora e batte l'indomito martello.
Prono il maestro, esanime, riposa... sogna,
che all'eco di virtù la sua mente già forme ingegna.

​

Trasognante scultore, all'eterno suo capolavoro:
opera d'infinito valore.... cinta d'alloro.
Soggiace la speranza al tempo della storia:
sulla rude pietra... per sempre incisi, i canti di gloria.

​

Sagacia di maestro... a scorticar meschina roccia,
dell'immane suo lavoro, l'uomo impuro taccia.
Maestro di vita... della tua divina arte incanti,
l'uomo e la sua sorte, slacciato dai suoi inganni!

 

Critica in semiotica estetica della Poesia "Dalla rude pietra” di Emilio Ciombo Arlia

 

In rima ritornate, la parola del Ciombo Arlia, in una drammaturgia dell’estasi apicale, rintocca a forbire la forma scultorea della materia, nel grembo gestante dell’arte, a penetrare il mistero della creazione. L’alchimia artistica dello scultore, in virtuosa corrispondenza proiettiva ed introiettiva alla scultura, trae l’essenza del luogo elementare, integra il caos di componenti opposte nel Sé, si lega al luogo divino e volge la materia prima in pietra filosofale: l’arte abbraccia la trasmutazione dell’artista a nuova identità, che illumina di nuova veritaria conoscenza.

A mio figlio

S'udirono vagiti a confortare sospiri

nascesti, frutto di quell'eterno amore

ora bianco giglio, che profumi ispiri

illuminasti il cielo di colorite aurore.

 

Fatale, un vento che soffiò sul fuoco

mi recò lontano in arida terra d'oblio

squarciò profondo nel cuore il vuoto

senza nemmeno un tempo d'addio.

 

Lenirò gli stenti, abbatterò barriere

veglierò le ansie ed i tuoi tormenti

devierò le acque e tutte le bufere

ti cullerò finché non t'addormenti.

 

Traccerò sentieri ove tu non cada

Sarò quel faro che illuminerà di pace

costruirai fortezza sulla tua strada

e voce di saggezza sarà la tua luce.

Critica in semiotica estetica della Poesia "A mio figlio” di Emilio Ciombo Arlia

 

La parola dedicata del Ciombo Arlia attraversa il tempo e lo spazio, è il filo irrecidibile che lega il luogo genitoriale e il luogo filiale, è il sostrato valorale che vince la dimensione caduca e contingente, che nutre la discendenza diretta della generatività di quella indiretta dell’evento di significazione, che permane oltre la morte.

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