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Josine Dupont

Foschia

Mi piaceva

stare immobile sull'argine

scivoloso,

poco sopra,

o un po’ giù nella roggia,

ma ferma.

Osservare l'acqua passare

della vita,

aspettare la sera

nebbiosa.

Ricacciavo le nubi pesanti

col chiudere gli occhi.

Il dolore aleggiava lontano,

accanto all'uomo

che non mi voleva più.

Stavo ferma a aspettare la vita

degli altri.

Ho gettato la pietra.

Ha saltato più  volte,

e creato

nuovi mondi.

Ora vado.

Riprendo il cammino

col fiume.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Foschia” di Josine Dupont

 

La parola lenta e profonda della Dupont apre la configurazione dialettica di volontà e di rappresentazione: la volontà è evento unico e indeclinabile di vita eterna nel continuum del vivente; la rappresentazione

è segno, che rimanda a un oggetto. Quando l’evento della vita è dolore, immobile sulla soglia

fra evento e significato, l’uomo rappresenta, cosicché l’oggetto di dolore si allontani: per essere un segno, un’immagine deve rimandare a qualcosa che sia altro. È qui, nella produzione di un significato,

che l’uomo riprende a vivere il transito della verità.

Su un vaso di fiori

Fiori rotti,

spezzati, malati.

Fiori anomali,

un poco appassiti.

Foglie verdi

coi gambi ammuffiti.

Dolci petali

da pieghe segnati.

Rigogliosi ugualmente;

è la vita,

così, dolcemente ci guida

alla morte.

Appassita

la nostra speranza,

siamo buoni ugualmente,

come i fiori:

concime.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Su un vaso di fiori” di Josine Dupont

 

Spezzata e riecheggiante, la parola della Dupont figura la condizione segnica e imperfetta dell’umano, come rimando alla naturalezza della fine, iniziazione, per la rinascita alla vita eterna del divenire inarrestabile delle forme dell’essere. La morte è un coito con la terra, con l’anonimia emozionale

della continuità con il mondo e assunzione del potere di generatività, di senso, come propria conquista

di completezza, di eternità. Morte è evento che diviene la significazione, è silenzio, parola di carne,

di materia, parola affidata all’altro, invocazione di nuova vita.

Un'altra lingua

Ci son cose che non afferro
del mondo
trattate in lingua sconosciuta.
Cose annodate di persone
delle quali il bandolo mi sfugge.

​

Non recepisco il gioco
né l'aria della melodia,
eppure ci dev'esser qualcosa...
Non può essere tutto così inutile,
se si sbattono.

​

Io vedo ballerini senza musica
e scale salite con affanno,
eppur chi sale
non si sposta a prima vista
di un passo.

​

La retta che tende all'infinito è impalpabile,
e "loro" non la vedono.
I discorsi si parlano addosso,
e ad essi non riconosco
né inizio né fine.

​

Di evidenze che striscian fra noi
tutti mi parlano complici,
e mentre ne parlano sfumano, e dileguano.
Cose della vita quaggiù,
il cui senso reale mi sfugge…


E mi scopro ogni giorno
"diversa".

 

Critica in semiotica estetica della Poesia “Un'altra lingua” di Josine Dupont

 

Ironica e interrogativa, la parola diretta della Dupont vive una dimensione d’estraneità alle azioni della vita cosciente e lineare condivisa: una disarmonia in sinestesia tangibile separa le intenzioni. La perdita di senso della rappresentazione è indice di un nichilismo costruttivo della poetessa, che affronta la caduta dei vecchi valori precostituiti, per la creazione di un senso tutto proprio e originale: un senso diverso, letteralmente atto a divergere, che non abbandoni il movimento che pone l’essere in gioco, che volge in una sempre altra direzione e prospettiva di verità, mai ultima.

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