GALLERIA DI OPERE IN POESIA E ARTE CONTEMPORANEA
con Critiche in Semiotica Estetica di Fulvia Minetti
presenta
Giovanna Giulia Simeoni
16 aprile 2022 ore 19,00
Corso della Repubblica,50 Canale Monterano di Roma
La Galleria Accademica presenta Giovanna Giulia Simeoni
Paradigmi di relazionalità sostanziale
L’Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea, in convenzione formativa con l’Università degli Studi di Roma Tre, accreditata dalla Regione Lazio, iscritta all’albo di Roma Capitale e del Comune di Canale Monterano, presidente fondatrice la prof.ssa Fulvia Minetti, vicepresidente il dott. Renato Rocchi, direttore artistico Antonino Bumbica, inaugura la mostra di Giovanna Giulia Simeoni alla Galleria Accademica d’Arte Contemporanea della Città d’Arte Canale Monterano di Roma in Corso della Repubblica n.50 il 16 aprile 2022 alle ore 19.00, con il JazzLight Trio Paffi-Consaga-Dodaro, aperta al pubblico fino al 30 aprile 2022 ore 17-19 con ingresso gratuito.
"Le mie opere sono i miei taccuini di viaggio. Sono anche la sintesi di scambi interdisciplinari con amici, colleghi e sconosciuti. Il mio lavoro mi ha permesso di conoscere altre culture e guardare la mia quotidianità sotto nuovi punti di vista. Affido all’arte tutto ciò che è umano ma non è razionale, che qualcuno nel mio percorso mi ha donato e che penso possa essere utile a qualcun altro." Giovanna Giulia Simeoni
Giovanna Giulia Simeoni è nata a Verona, ha conseguito il Diploma di maturità classica a Verona, la Laurea in Fisica all’Università di Trento, il Dottorato di ricerca in Fisica all’Università “La Sapienza” di Roma. Accanto ad una carriera accademica internazionale in diversi istituti europei – ricerca, didattica e giornalismo scientifico – porta avanti progressivamente studi e progetti artistico-letterari. Ella ha contribuito allo sviluppo della fisica contemporanea sia a livello tecnico che teorico, nei settori della geofisica, dell’oceanografia, delle energie rinnovabili e delle esplorazioni aerospaziali e i contenuti di alcune pubblicazioni scientifiche sono comparsi in traduzione sulla stampa nazionale italiana Sole 24 Ore.
Ella ha acquisito il Diploma privato di pittrice figurativa classica ed illustratrice alla Scuola d’arte Akthof, a Monaco di Baviera, ivi allieva del pittore americano Benjy Barnhart, dell’illustratrice e scultrice tedesco-americana Anette Bley, delle pittrici ucraine Elina Deberdeeva e Svetlana Naboka; un apprendistato di tecniche di grafica tradizionale - incisione su metallo e litografia - presso l’incisore boemo Wolfgang Barth a Monaco di Baviera e l’incisore tedesco Eberhard Hartwig a Berlino; l’apprendistato di bassorilievo e scultura presso la scultrice russa Esther Pschibul e la scultrice tedesca Beate Schubert.
Ella ha frequentato i laboratori formativi di regia cinematografica presso la Münchner Filmwerkstatt e la London Film School e i laboratori formativi di sceneggiatura e narrazione presso l’Atelier “Les Mots” a Parigi e la Scuola Holden a Torino e i laboratori formativi di drammaturgia teatrale presso la Civica Scuola “Paolo Grassi” di Milano.
Attualmente ella è membro del collettivo artistico WerkStetten, situato nella periferia di Monaco di Baviera nei pressi di Dachau. Il collettivo artistico, composto da pittori, scultori, architetti, ingegneri e fisici, ha preso in gestione una vecchia falegnameria, già monumento industriale del 1800, l’ha riqualificato come polo culturale e sta risanando la memoria storica del luogo facendo rifiorire la zona con il dono della creazione artistica dei singoli membri. Nel 2020 realizza una installazione artistico-letteraria come evento collaterale del Festivaletteratura a Mantova e la mostra personale “Punto. Volume. Massa.” presso il museo diocesano “Francesco Gonzaga”, corredata anche di testi dedicati agli ipovedenti, per permettere a tutti di tornare a vivere gli spazi pubblici come risorsa culturale. Nel 2021 ella riceve la menzione speciale della critica al festival internazionale di arte contemporanea DeSidera di Trieste con esposizione e il trofeo argenteo brunito “Apollo Dionisiaco” conferito dall’Accademia Internazionale di Significazione Poesia ed Arte contemporanea a Roma con critica in semiotica estetica dell’opera artistica e pubblicazione permanente nella Mostra Accademica dell’Arte Contemporanea online.
Sommesse e chiaroscurali le opere della Simeoni approssimano al luogo bidimensionale e sussurrano che questo è il luogo primario della verità. La terza dimensione, infatti, abitua invece al distacco oggettuale dall’alterità, alla separazione dell’unità originaria nel dualismo di uomo e di mondo. Così l’artista richiama ad una condizione originaria rimossa, ad un supporto del continuum essente, alla configurazione di uno spazio franco e transizionale, all’arte immemoriale di una ricongiunzione. È un viaggio etico di conoscenza e di riconoscimento, lungo un percorso dialettico dall’ombra alla luce, a ricreare una profondità sintetica, che non infranga la coesione di senso fra le cose.
L’incisione della Simeoni “Relatività classica - Orror del vano di un polveroso croco” è la visione proiettiva che figura la scotomizzazione della vacuità inconoscibile dell’inconscio, per mezzo di alcuni degeneri sviluppi segnici della coscienza. Gli opposti di relatività e classicismo si fondono nella proposta dell’artista: classico è essenza universale e archetipica, che parla con voce inestinguibile e al contempo ciò che è capace di acquisire un presente sempre nuovo, in relazione al riferimento interpretante. In fisica il vuoto non esiste: il vuoto dei luoghi, in ogni tempo, è proiezione del vissuto di abbandono relazionale, complesso di Krókos, che tenta un adattamento disfunzionale di riempimento, nella moltiplicazione ossessiva, compulsiva e sterile di nevrotici e gravi pensieri, di “qualche storta sillaba e secca come un ramo” montaliano, prodotto di una coscienza monadica e mendace.
L’incipit del percorso artistico della Simeoni è proprio la consapevolezza della falsa coscienza dell’abitudine che rivoluziona il vecchio assunto socratico del “sapere di non sapere” nel monito nei confronti del costitutivo “non sapere di sapere” che riflette sull’uso inconsapevole ed acritico di solidi abiti culturali che condizionano la visione di sé, dell’altro e del mondo.
L’artista riparte così dalla stoffa dei sogni, ovvero dal sostrato inconscio collettivo che accomuna oltre ogni differenza e cultura, che ricuce le distinzioni con il filo di un senso universale, perché l’abito mentale della semiotica peirceana, che dà forma e orienta le nostre prospettive, il comportamento cognitivo e pratico dell’essere umano, sia nuova luce, sia nuova emersione a coscienza, aperta modificazione di una vecchia coscienza personale e sociale. Ogni regola d’azione deve trovare il suo paradosso e il suo paradigma di riformulazione. L’etica, dal sanscrito svadha è il modo di porsi al mondo, la costruzione di un comportamento agente e non agito, cioè che comprende lo stacco della soglia di istituzione di una regola, che rifigura oggetti e significati relativi, che osserva il transito della significazione.
Lo sguardo di ricerca veritativa dell’artista si sospinge indietro a riscoprire finanche il legame fra ontogenesi e ricapitolazione filogenetica, ad aprire le immagini metaindividuali dello sviluppo della specie umana. Prima di ogni espressione cognitiva è la dimensione emotiva della sincronia, della sintonia, della sinfonia di una continuità plurale incosciente dell’essersi, che precede la coappartenenza cosciente della distinzione identitaria. Ogni essere viene alla luce dall’ombra di gestazione della vita universale nel valore di un’unicità, che opera alla presentificazione di una verità comune e condivisa. È questo l’invito rivolto all’uomo da parte dell’artista, a superare i propri confini identitari alla natura. In una filosofia etologica l’uomo riscopre la solidarietà, che è letteralmente il luogo umano della solidità, che rende l’io vincolato all’altro per la forma integra e unitaria del se stesso. Il corpo sociale si costituisce della salda coesione di ogni singolo elemento necessario in solidum, come forme istantanee di un tempo unico che crea la composizione armonica del riconoscimento mutuale, suggellata da un dono di riconoscenza.
La città per l’artista può rappresentare la metafora di una dialettica umana fra apparenza e verità. L’uomo è aduso a seppellire l’ombra dell’inconscio, per un cammino inflattivo verso la luce. Ma la risoluzione è breve, presto il rimosso rivendica l’emersione, che mostri la rea verità del volto, dietro il bistro della maschera.
I monocromatismi sono densi d’indistinzione poetica, come “L’ora verde” che annienta ogni riferimento storico alla dipendenza artificiale e mesce forse il blu della notte al giallo delle prime luci a cercare la complicità direzionante del silenzio naturale che precede le parole, il corpo unico dell’operosa volontà di vita delle donne, che osserva una nuova cosmogonia del giorno.
Come in “Ode a un usignolo” è la rinascita musicale di un nuovo giorno armonico, dopo l’eden notturno che annulla ogni differenza di ceto.
Gli occhi della rinascita per l’artista sono occhi di donna, fino ad interrogare la veste araba, che, come un’anfora, risuona dell’ascosta e stessa acqua genitrice di segrete verità, ancora oggi come ieri, non riconosciute. La centralità per l’artista non è l’identità bensì la differenza, in questa rivoluzione copernicana del punto di vista la Simeoni avvalora la dimensione relazionale della stessa sostanza dell’essere, aprendosi ad un etico divenire veritativo. L’arte è alterità e rinascita: l’alterità è il luogo di rifigurazione protagonistica di sé e della propria vita.
L’artista invita la donna all’ascolto e al rispetto del valore della sua unità psicofisica, che rinsalda la divisione e combatte il progetto platonico che mira a cancellare il desiderio per le cose in sé: ogni istante ed ogni cosa è desiderio poiché segno: le cose in sé non sono che un falso costrutto operato a partire dal transfert oggettivante della pratica di parola.
La Simeoni presenta l’esperienza artistica come espressione dell’esistenza e per questo la pone altresì in relazione al nesso gadameriano di verità-situazione, che la manifesta finanche nel profilo della sua debolezza legata alle metamorfosi di senso connesse al variare dei contesti, dei fruitori, delle epoche; lo sguardo dell’artista si apre alla storicizzazione della verità, a negare un’asserzione assoluta, per una libera interrogazione situata.
Il viaggio ctonio introspettivo dell’artista, che compie un descensus ad inferos al luogo precategoriale e preriflessivo archetipico dell’ombra è il cammino individuativo di un’iniziazione rituale. I paesaggi criptici dell’ombra trattengono alla nigredo, ai neri della morte iniziale, che l’artista affronta e supera nella dimensione di sacrificio e di liberazione. La soglia dell’umano è fra segno e senso e celebra una ripetizione analogica dell’origine, che è l’origine stessa, così la donna è agnello che vince la morte e diviene segno del suo progetto divino: superamento di sé alla verità stessa.
Non v’è nulla di più vivo e totalizzante delle nature morte della Simeoni che rifondono le forme statiche all’energia dinamica delle materie prime elementari, nella liquidità dell’azzurro, nel risveglio planetario di un ortaggio, nell’igneo athanor grembale di una melagrana.
Il “Fiat lux” che inscena donne e filo elettrico è una rivisitazione mitopoietica di divine Vestali, Moire e Grazie che eleva il filo a metafora del corso della vita e ove le opposte funzioni, di dispensazione di grazia benefica e di fatale vaticinio, si congiungono, a presiedere al protagonismo della forza femminile della vita, quanto al destino inesorabile a vanire nel grembo femminile della natura, nell’atto estremo di ricongiungimento del tutto.
Il trionfale rovesciamento artistico dell’orienza dell’Afrodite Cnidia ad opera della Simeoni trasforma la verecondia che la donna rivolge alla dimensione sociale dell’alterità osservante in una fierezza impavida di superamento alla ricerca di se stessa, per naturale reintegrazione dell’ombra alla luce, della nerezza dei luoghi ignoti e proibiti dell’inconscio al lucore identitario della propria coscienza.
Presidente Fondatrice
Prof.ssa Fulvia Minetti
Criticism in Aesthetic Semiotics
Subdued and with light and shade effects, Simeoni's works approximate the two-dimensional place and whisper that this is the primary place of truth. The third dimension, in fact, habituates to the objective detachment from otherness, to the separation of the original unity in the dualism of man and world. Thus, the artist refers to a removed original condition, to a support of the existing continuum, to the configuration of a frank and transitional space, to the immemorial art of a reconnection. It is an ethical journey of knowledge and recognition, along a dialectical path from shadow to light, to recreate a synthetic depth, which does not shatter the cohesion of meaning between things.
The engraving by Simeoni ‘Classical Relativity - Horror of the emptiness of a dusty crocus’ is the projective vision that figures the scotomization of the unknowable emptiness of the unconscious, by means of some degenerate sign developments of consciousness. The opposites of relativity and classicism merge in the artist's proposal: classic is a universal and archetypal essence, which speaks with an inextinguishable voice and is, at the same time, what is capable of acquiring an ever-new present, in relation to the interpreting reference. In physics, the void does not exist: the void of places, in every time period, is a projection of the experience of relational, complex abandonment of Krókos, which attempts a dysfunctional adaptation of filling in: in the obsessive, compulsive and sterile multiplication of neurotic and grave thoughts, characterised by Montalian ‘some crooked syllable and dry as a branch’ and product of a monadic and mendacious conscience.
The incipit of Simeoni's artistic career is precisely the awareness of the false knowledge of the habit that revolutionizes the old Socratic assumption of ‘knowing not to know’, in the warning against the constitutive ‘not knowing you know’. This reflects on the unconscious and uncritical use of solid cultural habits that condition the vision of oneself, of the other and of the world.
The artist thus starts again from the fabric of dreams, or rather from the collective unconscious substratum that unites beyond all differences and cultures, which stitches up the distinctions with the thread of a universal meaning. This, so that the mental habit of Peircean semiotics, which gives shape and orients our perspectives, the cognitive and practical behavior of the human being, may bestow both new light and new emergence in consciousness, an open modification of an old personal and social consciousness. Each rule of action must find its paradox and its reformulation paradigm. Ethics, from the Sanskrit svadha, is the way of placing oneself in the world, the construction of a behavioral agent rather than object, that is, which includes the detachment of the threshold of institution of a rule, which represents objects and relative meanings, which observes the transit of signification.
The artist's gaze of truth-seeking research pushes back to rediscover even the link between ontogenesis and phylogenetic recapitulation, to open meta-individual images of the development of the human species. Before any cognitive expression there is the emotional dimension of synchrony, harmony, the symphony of an unconscious plural continuity of beingness, which precedes the conscious co-belonging of the identity distinction. Every being comes to light from the gestation shadow of universal life in the value of a uniqueness, which works to present a common and shared truth. This is the invitation addressed to man by the artist, to overcome his own identity boundaries to nature. In an ethological philosophy, man rediscovers solidarity, which is literally the human place of solidity, which makes the self bound to the other by the integral and unitary form of himself. The social body is constituted by the solid cohesion of every single element necessary in solidum, as instant forms of a single time that creates the harmonious composition of mutual recognition, sealed by a gift of gratitude.
For the artist, the city can represent the metaphor of a human dialectic between appearance and truth. Man is used to burying the shadow of the unconscious, for an inflationary path towards the light. But the resolution is short: soon the repressed claims its emergence, which shows the real truth of the face, behind the bistro of the mask.
Monochromatisms are full of poetic indistinction, such as ‘The green hour’ which annihilates any historical reference to artificial dependence and perhaps mixes the blue of the night with the yellow of the first lights. This in order to seek the directing complicity of the natural silence that precedes the words, the single body of the industrious will of life of women, that observes a new cosmogony of the day.
As in ‘Ode to a Nightingale’, it is the musical rebirth of a new harmonic day, after the nocturnal Eden that cancels all class differences.
The eyes of rebirth for the artist are the eyes of a woman, to the point of questioning the Arab dress, which, like an amphora, resounds with the hidden and same maternal water of secret truths still, today as yesterday, not recognized. The centrality for the artist is not identity but difference; in this Copernican revolution of the point of view, Simeoni confirms the relational dimension of the very substance of being, opening up to an ethic becoming truth. Art is otherness and rebirth: otherness is the place of the protagonist refiguration of oneself and one's life.
The artist invites the woman to listen and respect the value of her psychophysical unity, which strengthens the division and fights the Platonic project which aims to cancel the desire, sustaining the favor of things in themselves: every moment and everything is desire because it’s a sign. Things in themselves are but a false construct made from the objectifying transference of the practice of speech.
Simeoni presents the artistic experience as an expression of existence and for this reason she also places it in relation to the Gadamerian connection of truth-situation, which manifests it even in the profile of its weakness linked to the metamorphosis of meaning connected to the varying contexts, the users, the epochs. The artist's gaze opens to the historicization of truth, to deny an absolute assertion, for a free situated interrogation.
The introspective chthonic journey of the artist, who makes a descensus ad inferos to the pre-categorical and pre-reflective archetypal place of the shadow is the identifying path of a ritual initiation. The cryptic landscapes of the shadow restrain in nigredo, the blackness of the initial death, which the artist faces and overcomes in the dimension of sacrifice and liberation. The human threshold is between sign and meaning and celebrates an analogical repetition of the origin, which is the origin itself, thus the woman is the lamb who overcomes death and becomes a sign of her divine plan: the overcoming of self to the truth itself.
There is nothing more alive and all-encompassing than Simeoni's still lifes which recast static forms with the dynamic energy of elementary raw materials, in the liquidity of blue, in the planetary awakening of a vegetable, in the fiery athanor on a pomegranate’s womb.
The ‘Fiat lux!’ that stages women and electric wire is a mythopoetic reinterpretation of divine Vestals, Moire and Graces. It elevates the wire to a metaphor of the course of life where the opposite functions of dispensation of beneficial grace and of fatal prophecy, come together, to preside over the protagonism of the feminine force of life, as well as the inexorable destiny to vanish in the feminine womb of nature, in the extreme act of rejoining the whole.
The triumphal artistic reversal of the Aphrodite Cnidia's orientation by Simeoni transforms the modesty that the woman reverts to the social dimension of observing otherness into a fearless delight of overcoming in search of herself, through the natural reintegration of shadow into light, of the darkness of the unknown and forbidden places of the unconscious to the identifying radiance of one's own conscience.
Prof. Tony Brophy’s translation