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Stefano Maraviglia

Il sisma e un sogno, te

Il sole prova a lenire le tue ferite e alleviare il mio dolore,

intanto fermo ed esanime contemplo la tua silente agonia,

Camerino mia.

Mentre la mano sul foglio incide il pianto,

martellante nelle membra il ricordo tuona,

forte e tanto.

Vibra la terra e vacilla l'esigua certezza,

mi stringo a te paese mio,

come le macerie fanno con l'amarezza.

Vedo solo il buio intorno a me,

abissi colmi d'ansia,

la paura come amica e il ricordo di una beltà

che più non c'è.

Non ti curar di me amico mio,

il malessere passerà, un giorno, forse,

se a ceder prima non sarò io.

M'illudo d'un domani diverso,

come un poeta stanco fa

verso dopo verso.

Provo a svestirmi di questo cappotto tessuto di paure e timori,

chiudo cuore e occhi,

ma non riesco a lasciarti fuori.

Basta! Fuggo!

Mesto percorro ciò che rimane di te, un'unica via.

Ti vorrei bella come una volta perché,

se un sogno c'è, quello sei te,

Camerino mia.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Il sisma e un sogno, te” di Stefano Maraviglia

 

Il verso rimato e cullante del Maraviglia è rituale incantatorio, che ricuce il violento iato psicofisico, improvvisamente aperto fra uomo e ambiente naturale avverso. Il ritmo legato è terapeutico e accompagna un progressivo umano abbandono fusionale notturno al sentimento d’amore: è l’unica salvezza, che riannoda lentamente al tempo circolare il tempo lineare, nel passaggio ontico dalla libertà d’immaginazione all’immaginazione di libertà di vita, da un primo sperante sogno, ad un progetto di futuro.

E come il vento...

Lieve vorrei sfiorare il tuo viso e come il vento accarezza il grano,

lenire ogni tua ferita.

Sogno d'esser io la cura ad ogni tuo dolore e come il vento,

forte da soffiar via ogni timore.

Madre, stai pagando colpe altrui, incapace io d'esser quello che tu speravi,

e come il vento,

talvolta freddo, talvolta caldo con l'animo tuo.

La natura mia è l'arduo scoglio da superare, la contrarietà che ci divide,

e come il vento col frangiflutti,

vorrei sopraffare essa per giungere a te, seppur fioco.

Tendo la mano a cercare la tua e come il vento ravviva il fuoco,

provo a riaccendere in te, il sorriso che troppe volte ho spento.

Ho cuore d'oro e animo nobile io, mal celati da uno sguardo fragile e cruento,

quanto una foglia e come il vento.

Madre, vorrei saperti amare, lo dico, non mi pento.

Sei la pioggia e innanzi a te,

come il vento, stento.

Critica in semiotica estetica della Poesia “E come il vento” di Stefano Maraviglia

 

Sospinta eco ritornante, come raffica espressa dal vento, la parola del Maraviglia è sollevata dall’istinto

di libertà, ma mossa dalla forza del bisogno d’amore e insieme dalla ritrovata delicatezza, che accarezza

il desiderio del riconoscimento materno. La dimensione aerea, incessante e continua, è configurazione sublimante la divergenza delle differenze, che rifonde la volontà propria e l’aspettativa nella possibilità diveniente della speranza e nel paradigma della promessa: è permanenza nel cambiamento il racconto dell’amore.

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