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Valeria D'Amico

Avremo

Avremo ancora giorni avidi di fiori

e foglie a rinverdire per gli stormi,

profumo di zagare e di mare, e mani

buone ad impastare il pane da smezzare

con chi non ha memoria del passato,

ma solo sogni quanto basta per campare.

Avremo ancora voglia di sorridere

nel pianto e alberi saldi da potare

guardandoli elevarsi fieri al cielo,

sicuri che in ogni tempo e luogo

sapranno mettere radici e avere occhi

sospinti ad indagare tra il fogliame.

Avremo parole di labbra per salvare

quello che resta di un finito amore,

parole di pietra per macinare anche

l’ultimo minimo e stantio dolore.

Avremo parole rosso porpora a colorare

sguardi custodi di un silenzio disadorno

e parole di neve nascoste nelle tasche,

da sciogliere sugli spigoli dei dubbi.

Avremo la misura esatta di ogni salto,

della parabola di ogni arcobaleno teso

a cingersi col mare, della frazione di luce

necessaria per fare un’altra alba, la formula

completa della nostra finitudine, sottratto  

lo stupore della meraviglia che ci salva.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Avremo” di Valeria D'Amico

 

Il verso sinestesico della D’Amico è parola fremente, parola di carne, che accoglie tutta la verità dell’emozione diretta e al contempo serba tutta l’eleganza luminosa della parola eletta ed elevata. La poetessa tende il movimento verticale e lanciato della speranza e della coscienza, che conduce ad avere un mondo, non senza tuttavia il ritorno alla prima radice della vita nella meraviglia, che innamora e ricongiunge le definizioni al senso, in un unico essere salvo, che vale integro, intero.

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