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Vanessa Mignucci

Visione di un condannato

Avanzava il condannato
col volto coperto e i piedi scalzi
verso l’Attimo solitario.
Senza fatica o dolore
prese tra le mani il morbido atomo
e tirandolo per le estremità
sfilacciò il tessuto del Tempo.

Dalle fibre dorate vide l’occhio reo
come un fregio dispiegata
e immensa l’eterna Narrazione.
Aboliti i confini ora l’altissima virtù
confluiva nel depravato delitto
e le grida scomposte s’accordavano
in un coro sospeso.

I nascituri dormivano sereni
accanto ai vigili defunti
e s’accendevano dalle ceneri i fuochi.
Senza stupore o meraviglia
vide oscillare gli antichi Enigmi
tra l’armonia e la disgregazione
e li seppe così risolti.

Divenne allora rumoroso il silenzio
e sbocciò la bellezza dai duri calli.
Divenne allora morbido il colpo
e sbocciò la salvezza dalla fredda lama.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Visione di un condannato” di Vanessa Mignucci

 

La parola colta, simbolica e narrante della Mignucci riconosce la vita umana in qualità di luogo di fatica

e di dolore, di transitorietà e di finitudine, di dicotomia degli opposti, di inconciliabilità di bene e di male, di dislocazione dal senso e d’incomprensione, di tensione e di domanda, di continuo stupore. Immaginariamente la poetessa consegna all’istante prima della morte la risposta della verità, nella coincidenza di tempo e di spazio al senso, al superamento della morale e alla sintesi dei poli oppositivi, offrendo il dono di una soluzione alla tensione entro un’estrema dimensione divina dell’umano.

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